L’estate che sembrava sbiadire pigramente ha ripreso vigore. Il sole martella dal cielo limpido. Il litorale e l’acqua bassa brulicano a perdita d’occhio. Dopo il lungo bagno è bello starsene sdraiati. Lasciarsi asciugare lentamente dalla brezza che, per fortuna, soffia leggera e costante dal mare, mitigando la calura. Con gli occhi chiusi mi lascio andare alle percezioni dei sensi. I profumi, il fruscio della risacca. Il pulsare ritmico del basso che fluttua indistinto dagli altoparlanti del bar. Provo a indovinare la canzone, uno dei tormentoni stagionali. Anonimi, presto dimenticati. Non come “un disco per l’estate”che ti portavi dietro anche al ritorno dalle vacanze, con i tuoi 45 giri, insieme alla nostalgia.
C’è un moto incessante di persone, come lo struscio serale su un corso di provincia. Avanti e indietro sulla battigia, senza destinazione apparente, piedi malconci che affondano nella sabbia, dita adunche, alluci valghi. O Crocs dai colori impossibili. Alcuni trascinano con fatica le masserizie, altri ostentano un contegno, da veri amanti della natura. E ancora altri affluiscono dallo stabilimento, come una mandria spinta nel recinto da invisibili bovari.
Per qualche motivo, sembra che ogni nuovo arrivato voglia sistemarsi entro una distanza massima di 50 metri dall’ingresso. Dove sto io.
Cerco di stabilire un minimo spazio vitale da difendere, ma è inutile. C’è già un capofamiglia che sta dando indicazione ai suoi per l’accampamento. Lo guardo con espressione di disappunto che non lo sfiora neppure. Vorrei dirgli che ci sono chilometri di litorale e non è necessario ammassarsi in pochi metri. Lascio perdere, sarebbe vano. È come in metropolitana, a ogni apertura di porte si riversano nel vagone nuovi passeggeri che occupano tutti gli interstizi. Lettini, ombrelloni, enormi ghiacciaie, reticelle rigonfie di giochi per i bambini. Cani.
Questo gruppetto sembra composto ad arte. Lei deve essere stata una donna attraente, o almeno ha cercato di esserlo, prima della cellulite e del cedimento degli addominali. Ostenta lunghi capelli biondo tinto. Troppo lunghi. Li porta alla bella marinara. Ha un’espressione contegnosa che il naso lungo e affilato rende un po’ aspra. Atteggiamento sottolineato dalle unghie troppo lunghe, appuntite e laccate di scuro. Porta molti anelli e ninnoli. Benché sia molto abbronzata, non è una di quelle che stanno sdraiate a prendere il sole metodicamente. Almeno non qui. Anzi, si alza in continuazione. Compie piccole azioni, mansioni all’apparenza inutili, come per mostrare che la gestione del gruppo è nelle sue mani. Lui è decisamente più giovane. Non proprio un toy boy, un incrocio fra James Sawyer di Lost e Mal dei Primitives. Atletico e abbronzato anche se gli addominali sono ben nascosti dall’adipe. Ostenta tatuaggi e capelli annodati alla samurai, naturalmente (a Roma lo chiamerebbero “er cipolla”). E poi c’è il levriero. Bianco, col lungo pelo perfettamente strigliato e pettinato. Muso dall’espressione condiscendente, movimenti affettati. Apparentemente al centro dell’attenzione, mentre il gruppetto improvvisa un set fotografico a beneficio dei torpidi bagnanti. Lo splendido animale deve essere immortalato prima che il sale e la sabbia gli scompiglino l’acconciatura. Sawyer/Mal scatta le foto, muovendosi con piccoli saltelli qua e la per cercare l’inquadratura, l’espressione congelata in un sorriso di ebete compiacimento, evidentemente rivolto alla “padrona”. Questo è il suo ruolo e non è sicuramente lui il “capobranco”, come direbbe Cesar Millan, lo psicologo dei cani. Il quadretto non m’incanta. Penso con irritazione che lo splendido animale, prima o poi, cagherà proprio lì dove i bambini faranno i castelli di sabbia.
“Il cocco è fresco e bello. E le mandorle. Cocco bello cocco fresco cocco” Immancabile, anche se in playback dal megafono, il richiamo del venditore.
Le riviste di gossip sono piene in questo periodo delle foto di splendide ragazze, più o meno note, accompagnate da palestrati calciatori o tronisti.
Ora, questa non è certamente una spiaggia prestigiosa della Sardegna o della Costa Azzurra o dei Caraibi. Non somiglia nemmeno lontanamente al Forte. Per quanto bello, è solo un popolare e popolato lido Pugliese. Certo non il posto dove metterti in mostra, in attesa di una scrittura. Però, è mai possibile che fra le centinaia di persone che brulicano su questo litorale, anche se non in cerca di scritture, non sia possibile vedere un fisico attraente? Non dico muscoli scolpiti, sederini carnosi e sodi, gambe snelle e ben tornite, proporzioni esteticamente stimolanti, ma almeno qualcosa che si avvicini a quell’ideale di bellezza che sembra comunemente condiviso e ormai imposto in modo quasi ossessivo?
Deretani e cosce bucherellati dalla cellulite, seni enormi e cascanti, ventri rigonfi, carni flaccide. Fra gli uomini, alcuni più vistosi hanno fisici da lottatori di Sumo, con i pettorali afflosciati, come mantovane pendenti sullo stomaco dilatato. Questo sconfortante mosaico di corpi sembra fatto ad arte per ricordarci le miserie della carne. La Bibbia racconta che Dio decise di fare l’uomo a sua immagine e somiglianza. E poi? Forse per punirlo della sua conseguente presunzione, lo ha racchiuso in questo involucro repellente. Costretto ad anelare perennemente a un ideale di pura bellezza irraggiungibile, simbolo della natura divina. E non è questo che Lucien Freud voleva mostrarci con la bellezza negativa dei suoi ritratti? Con la fisicità debordante di quei corpi segnati dall’esistenza?
E tutte queste coppie. Quando si sono formate erano già così o è intervenuta una mutazione? E la vista, l’uno dell’altra, come la sopportano? O semplicemente non si vedono più?
Ma la pancia, prominente e adiposa è la caratteristica più comune anche nei più giovani, con la pelle che pende flaccida, come un grembiulino sull’elastico del costume.
E d’altra parte, se nell’indolenza del lettino origli le conversazioni dei vicini, prima o poi saltano fuori le parole “pasta al forno”, ”cozze”, ”parmigiana”, delizie da pregustare o ricordi da condividere. Indispensabili ingredienti nella liturgia della vacanza.
Nella banalità ripetitiva dei giornali estivi, mi capita proprio il resoconto di una delle tante ricerche mediche. Dai risultati dello studio emergerebbe che la passione per il cibo è fortemente correlata a una bassa autostima. Ma è davvero possibile che le centinaia di persone sovrappeso che affollano questa spiaggia si sentano delle merde?
Perché invece quel quartetto di ciccioni che emerge a fatica dall’acqua, sembra perfettamente felice. Ora, seduti sulle loro sedie rinforzate, appaiono gioviali e rilassati, mentre conversano, sorridenti e paciosi, pregustando i tesori della ghiacciaia.
Ben diversi da questo nutrito gruppetto di bolognesi snelli, arrivati come lanzichenecchi. Tronfi dei loro diritti di cittadini che si sono meritati le ferie. Forse desiderosi di imporre una “Rimini way of life”. Mi sono assentato per un bagno e al ritorno si erano installati con metodo, occupando la piccola, residua striscia fra me e la battigia. Creando un’inespugnabile barriera di ombrelli, seggiolini, passeggini-suv, perfino una tenda di Decathlon. Una specie di Fort Apache, impenetrabile alla brezza rinfrescante. Uno dei capifamiglia, non più giovane, ostenta la sua recente paternità emettendo continuamente ridicoli versi, per intrattenere il neonato ma soprattutto per mantenere l’attenzione sul suo gruppo di felici pionieri della natura e dell’umanità. Forse con qualche tortellino e qualche chilo in più, anche loro avrebbero un atteggiamento più rilassato e sopratutto meno arrogante.
“Il cocco è fresco e bello. E le mandorle. Cocco bello cocco fresco cocco”
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